Quel campione di papà - Salvatore Esposito
“Nascere eroe non è
sempre un vantaggio.
Per un momento ti
esalti e ti piace ma poi ti chiedi
chi te lo fa fare a
essere sempre in gioco.
Nessuno ti apprezza,
tutti ti giudicano.
Meglio vivere la propria
vita come una persona normale,
praticando solidarietà,
autorevolezza e coesione.
Essere eroe è bello, ma
solo nei fumetti e nei film, non nella vita reale.
Vale la pena essere un
eroe per se stessi e per quelli che si ama.”
Essere genitori, essere figli. Ci
soffermiamo tutti su questa dicotomia, sia se siamo genitori, sia se non lo
siamo, perché ad un certo punto della vita, lo diventiamo comunque. Dei nostri
genitori.
Loro che sono stati un esempio,
nel bene e nel male, ma comunque un esempio, un modello su cui poi abbiamo
impostato e condizionato l’intera nostra esistenza, in modo consapevole o meno.
Sull’essere genitori, sull’essere
padre, si interroga Salvatore Esposito nel suo libro d’esordio Quel campione di
papà (Edizioni L’Erudita), una sorta di indagine sulla paternità e sulle
emozioni contrastanti che racchiude. L’originalità sta nella forma dell’opera:
l’autore si trasforma in giornalista e sotto questa veste intervista una serie
di personaggi “famosi”, i cui nomi non sono dichiarati ma facilmente intuibili
fra le righe.
C’è il calciatore famoso che,
essendo l’autore napoletano e appassionato di calcio, non farete fatica a smascherare, combattuto nella difficoltà di essere eternamente idolatrato.
C’è il Papa, raccontato nella sua semplicità di uomo, nonostante quello che
rappresenta. C’è il Supereroe e l’enorme peso che si porta dietro nel dover
sempre assecondare le aspettative altrui. C’è l’attore dagli occhi blu,
costretto ad essere sempre sotto i riflettori, ma desideroso di ombra e
normalità.
Ognuno di loro, rappresenta una
sfumatura, una paura, un peso, un dubbio che ogni padre, ma io direi ogni
persona, si porta dentro nell’affrontare la vita.
Dalle loro chiacchiere sulla
paternità, e non solo, vengono fuori una serie di spunti sulla vita e sulle
relazioni, sull’essere uomo e, soprattutto, sul non dover mai perdere di vista
l’obiettivo di essere persone migliori.
Il libro è sì divertente e
scorrevole, ma in alcuni punti la riflessione si fa più profonda, più intima,
più introspettiva. L’ultimo capitolo, a mio avviso, è il più bello. E confesso
di essermi commossa. L’autore intervista suo padre, nella casa di famiglia,
davanti a un caffè.
Ed è il riconoscimento della
stima e del legame tra padre e figlio, il momento di un confronto emotivo forte
e forse trattenuto per troppi anni, il momento della resa reciproca ad un
sentimento che i caratteri forti ed una sorta di riservatezza hanno costretto
per troppo tempo. Ed è un liberarsi, un accettarsi reciproco.
Una dichiarazione d’amore.
Antonella Ciliberti
Antonella Ciliberti
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