Epo, "arraggia" e sentimento @ Slash+ - Napoli






Ph.: Antonella Ciliberti






Il dialetto napoletano è una lingua. Musicale alla massima potenza, capace di rendere perfettamente la dolcezza di una canzone d’amore, di un sentimento e l’amarezza della quotidianità, delle frustrazioni e della rabbia.

Io non sono sempre convinta delle canzoni in dialetto, non ne amo ogni espressione, non mi piace assolutamente quando scade nel neomelodico e il rischio, purtroppo, è sempre alto. Ma la mia città è piena di artisti che il dialetto sanno usarlo bene, sanno metterlo in musica e sanno utilizzarlo come veicolo di emozioni e cuore.


I brani dell’ultimo disco degli Epo (uscito lo scorso marzo) contengono note che il dialetto esalta: rabbia, amore, passato e presente, presenza e assenza, dolore, quotidianità ferita, incontri e attimi. I loro pezzi sono schegge di vetro taglienti in cui però puoi specchiarti, in cui trovi qualcosa di te, quel sentimento che hai provato, quella “arraggia” che abbiamo tutti dentro, quel desiderio, quell’abbandono.



Enea è bellissimo, dolente e trascinante, malinconico e vero.

Io non sono esperta di musica, so giudicarla solo in base alle emozioni che mi suscita. La vivo cercando verità e pezzi di me nelle canzoni e nelle parole altrui, godendo della condivisione del canto, quando la ascolto live. In questo disco ho trovato pezzi di me stessa. E, ascoltandolo dal vivo, qualche sera fa allo Slash+ di Napoli, l’ho cantato e sentito.

Ho sentito la voce, il respiro e l’intensità di Ciro Tuzzi, mi sono incantata a guardare la concentrazione di Jonathan Maurano e le sue bacchette volteggianti, i suoi sorrisi, i suoi sguardi a Ciro e la loro intesa. Ho guardato Gabriele Lazzarotti, bravura e umiltà che si fondono. Mauro Rosati alle tastiere, concentrato ed emozionato. Michele De Finis, sguardo alla sua chitarra e occhio al pubblico per sentirne il calore. 

Epo - Enea




Malammore, Addo staje tu, ‘A primma vota, Sirene coinvolgono ed emozionano, insieme ad alcuni pezzi degli album precedenti, le voci meravigliose di Gnut e Alfredo D’Ecclesiis intense ed ispirate, particolari ognuna a suo modo, bellissime ad accompagnare alcuni brani.


Brani e visi familiari, movimenti e gesti, dita e occhi. Quelli di chi sta sul palco, quelli di chi sta sotto. Le voci all’unisono, i sorrisi. Gli abbracci di chi si è emozionato insieme, di chi ha riso insieme per anni. Sotto e sopra il palco le vite si mescolano, quello che siamo oggi, quello che eravamo ieri.

Una serata bella e, per me, particolarmente intensa ed emozionante. Con i pensieri che hanno viaggiato parecchio, consapevolezze e domande e un’anima affine che, per fortuna, è sempre accanto a me e ha i miei stessi colori.


Antonella Ciliberti


Ph.: Antonella Ciliberti



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