Joker (2019)


Di articoli e recensioni sul nuovo lavoro di Todd Phillips (Leone d'Oro come Miglior Film alla 76° Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia) ne sono stati scritti tanti, da critici, semplici amanti di cinema, addetti ai lavori. Quindi io, in questo mio piccolo spazio, mi limiterò a raccontarvi le mie considerazioni personali da umile cinefila, considerazioni che prescindono dall’aspetto stilistico del film (oggettivamente notevole).

Mi concentrerò sui due temi fondamentali che caratterizzano questa storia: l’emarginazione e la malattia mentale. Sono, infatti, questi i due aspetti che porteranno Arthur Fleck (Joaquin Phoenix, immenso) a diventare il villain per eccellenza, il “Napoleon of crime” dei comics: Joker. Prima, però, è necessario che vi introduca brevemente il protagonista.

Arthur vive con la mamma anziana, Penny (interpretata da Frances Conroy) nella zona povera di Gotham City. Prende delle medicine perché ha una patologia che lo porta a ridere a crepapelle quando il suo stato d’animo è completamente l’opposto e per “sopravvivere” fa il clown, ma cova il sogno di diventare un grande stand-up comedian, proprio come il suo mito, Murray Franklin (la leggenda vivente, Robert De Niro).

Arthur è un buono, è un ragazzo tranquillo che cerca aiuto nella psicoterapia, vorrebbe far ridere la gente, perché la mamma da piccolino gli diceva sempre di “essere nato con uno scopo: portare risate e gioia nel mondo”.

Ma nonostante i suoi immensi sforzi, questo non accade. Viene deriso e picchiato ripetutamente, emarginato e abbandonato a sé stesso dal sistema e dalla società. Agli occhi della gente (e del candidato sindaco Thomas Wayne, figura importante nella storia) è un reietto.

E’ dopo l’ennesima grande delusione che Arthur si ribella a chi lo ha umiliato per tanto tempo, ma per farlo sceglie la via più facile, quella del male, compiendo gesti estremi e crimini efferati anche verso le persone che più gli stanno a cuore. Ma il suo essere crudele non è studiato, non è calcolato, è frutto della frustrazione, della tristezza, dell’umiliazione continua, della vergogna. Smettendo gli psicofarmaci esplode in una rabbia cieca e incontrollabile.

Per tutto il film era come se mi mancasse l’aria, sin dalla prima scena avevo un nodo alla gola, perché, inutile negarlo, nella prima parte si empatizza molto con Arthur. Ognuno di noi, chi più chi meno, ha subito delle ingiustizie e avrebbe voluto vendicarsi in modo poco consono, ma l’etica, l’educazione e la ragione ci hanno fatto agire in maniera decorosa o almeno non da criminali.

Joaquin Phoenix è veramente da Oscar. Poche volte ho assistito a interpretazioni di questo livello… anzi, probabilmente non ho mai visto un’interpretazione così. Per il ruolo ha perso 26 kg e si è calato completamente e magnificamente nella parte di Fleck. Potrebbe anche non dire una parola, sono i suoi occhi a parlare, soprattutto quando ride, ma dentro di sé sta morendo.

Questo film è, a mio modesto parere, un ritratto perfetto della società contemporanea, basata sul denaro, sull’apparenza più che sull’essenza, che sfrutta i più deboli, allontana i più bisognosi e deride i “diversi”. Di richieste di aiuto Arthur ne ha lanciate tante, ma nessuna è stata mai ascoltata. Se ci ragioniamo bene su, quanti sono i casi nel mondo intero di emarginazione e insoddisfazione che portano a violenza inaudita? Purtroppo innumerevoli. E un ruolo fondamentale, spesso, lo ricopre la società. Si parla ancora troppo poco di malattie mentali, additando come “pazzi” coloro che lottano contro questa grande battaglia. Sono milioni le persone affette da ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi, bipolarismo, ma ancora si fa ben poco per educarci alla salute mentale, importante tanto quanto quella fisica. E ancora non si fa abbastanza per aiutare queste persone.

Ho letto su facebook un commento di una ragazza la quale diceva che anche Bruce Wayne (per chi non è pratico, Batman) non ha avuto un’infanzia facile, ma ha scelto comunque la via del bene. Raramente rispondo a sconosciuti sui social, soprattutto se la mia opinione non è richiesta, ma stavolta non me la sono sentita di stare zitta (forse perché si tratta di un tema per me delicato, la salute mentale intendo). Così le ho risposto che sì, è vero, anche Bruce ha sofferto parecchio, ma è il contesto attorno che è diverso. Bruce aveva due genitori che lo amavano, alla loro morte è stato cresciuto e accudito dal maggiordomo Alfred che lo ama come un figlio, è ricco, ha avuto un’eccellente educazione ed è perfettamente integrato nella società. L’esatto opposto di Arthur.

Arthur è il risultato dell’abbandono, dell’ignoranza, dell’emarginazione e del menefreghismo. Non giustifico assolutamente i crimini violenti che commette, dico solo che,  forse, ripeto forse, se solo una persona lo avesse ascoltato, qualcosa sarebbe andato diversamente. Tutti abbiamo diritto ad una chance e ad essere salvati. O almeno a provare ad essere salvati.  Inutile gridare ad alta voce di voler essere Batman… in realtà, nostro malgrado, siamo tutti un po’ Joker.

La Ciamby

                             Fonte: comicsuniverse.it

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