Luoghi del cuore - il Mann di Napoli e le meraviglie di Antonio Canova






Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli è uno dei miei luoghi del cuore. E’ un rifugio, un posto bello e luminoso, è pieno d’arte sì, ma è anche un posto che accoglie, fuori dal mondo, anche se a due passi dal portone d’ingresso c’è uno degli incroci più infernali della città.

E’ il luogo in cui ho avuto il mio primo attacco da Sindrome di Stendhal molti anni fa quando ero bambina e lo visitai, forse una domenica mattina, con mio padre. Certo, solo dopo qualche anno, ho potuto dare un nome a quei brividi lungo la schiena, a quello spaesamento, a quei giramenti di testa (voi dite che era un inizio di cervicale? Probabile!) che sentivo al cospetto di quelle statue enormi, quei corpi scolpiti nel marmo.

E’ un luogo del cuore perché ci sono opere che amo (che un giorno, magari, vi racconterò) e che mi riportano agli anni del liceo e a quella professoressa un po' bassina ma con dentro una carica esplosiva nel raccontare le correnti artistiche. Forse è da lì che è nata la mia curiosità per l’arte, che con il tempo è diventata passione. Non sono un’esperta, non sono una studiosa (ma “se tornassi a nascere”, forse, sceglierei di laurearmi in Storia dell’arte), forse non sono neanche un’appassionata in senso letterale. Sono una persona che cerca emozioni, che cerca meraviglie con cui riempirsi gli occhi e scoprire qualcosa di se stessa, che cerca risposte e domande in un’opera, che cerca risonanze nella vita degli artisti, che cerca se stessa in un tratto di pennello o in uno scatto di fotografia, allo stesso modo in cui lo cerca tra le righe di un romanzo, tra le storie di personaggi scritti con l’inchiostro.

Per cui il mio approccio alle opere d’arte, alle mostre, ai musei, non è mai tecnico, non è mai formale: non ne sarei capace. Il mio è un avvicinarmi emotivo, emozionale. Ed è questo il modo in cui scriverò di arte in questo blog: per mettere nero su bianco delle emozioni, per incuriosire chi vorrà leggermi e, perché no, invitare a meravigliarsi.




Le tre grazie - Antonio Canova - dettaglio
Ph. Antonella Ciliberti





Sono tornata al Mann qualche giorno fa per la mostra “Canova e l’antico” e ho trovato emozioni, come speravo. Corpi sinuosi, attenzione ai dettagli dell’anatomia umana, figure che si stagliano in tutta la loro bellezza e vigorosità. Attimi di estrema forza fisica e momenti di pura poesia e sentimento. Questo era ed è Antonio Canova. Su tutto, quello che colpisce è l’attenzione ai dettagli, la meraviglia di pensare che da un blocco di marmo l’artista possa aver immaginato e poi “liberato” una figura, che sembra sia viva per quanto sia “pulsante” e precisa. Opere come Amore e Psiche stanti, Adone e Venere, Le tre Grazie la loro perfezione, la loro grazia e bellezza, lasciano senza fiato. E la particolare scelta di esporre le opere in modo da poter girare loro intorno, dà al visitatore la possibilità di osservarle ed apprezzarle nella loro interezza, soprattutto perché molte delle opere, danno proprio il loro meglio se guardate dal lato “posteriore”.


E’ il caso de Le tre Grazie, ovviamente, in cui è da una visione posteriore che si apprezzano i dettagli delle teste adagiate l’una sull’altra, le acconciature, l’intersecarsi delle braccia, a formare un abbraccio dolcissimo. 

Le tre grazie - Antonio Canova - dettaglio
Ph. Antonella Ciliberti




Le tre grazie - Antonio Canova - dettaglio
Ph. Antonella Ciliberti






E’ il caso di Adone e Venere, in cui apprezziamo non solo l’abbraccio e il dolce appoggiarsi della testa di lei alla spalla di Adone, ma anche la curiosità del cane alle loro spalle intento ad osservare i loro movimenti.

Adone e Venere - Antonio Canova - dettaglio
Ph. Antonella Ciliberti


Ed anche Statua di Ermafrodito dormiente (proveniente dal Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo) si rivela nella sua bellezza e significato solo ad una osservazione a tutto tondo.



Statua di Ermafrodito dormiente - Antonio Canova
Ph. Antonella Ciliberti




Le pieghe dell’abito di Ebe e della Danzatrice con le mani sui fianchi la loro flessuosità, il loro movimento naturale, la leggiadria di quel velo che ricopre le loro gambe e che tanto evidentemente è ispirato al Cristo velato di Giuseppe di Sanmartino e a La Pudicizia di Antonio Corradini conservate nella Cappella Sansevero e che Canova visitò durante uno dei suoi soggiorni a Napoli, nel 1780.





Ebe - Antonio Canova
Ph. Antonella Ciliberti


Ma in assoluto l’opera che mi ha lasciato a bocca aperta e quasi estasiata è la Maddalena Penitente (completata nel 1798 e proveniente da Genova – Musei di Strada Nuova – Palazzo Tursi) in cui sembrano convivere, senza risultare disturbanti, religiosità ed erotismo, misticismo e carnalità, sacro e profano.




Maddalena Penitente - Antonio Canova 
Ph. Antonella Ciliberti


I dettagli anatomici, la piega dei muscoli delle gambe, la stoffa della veste adagiata sul corpo e che non lo copre del tutto, lasciando intravedere parte del seno e dell’interno coscia, l’atteggiamento del corpo prostrato a mantenere la croce in atto di penitenza, una posizione anomala per una scultura, lasciano senza parole, ti costringono al silenzio, quasi a non voler disturbare un momento così intimo, quasi a voler partecipare ad un dolore così forte, quasi a rivivere in lei le nostre tristezze. Anche qui la grandezza di Antonio Canova si apprezza girando intorno all’opera: è il dettaglio dei capelli della Maddalena a stupire, sciolti sulle spalle, quasi attaccati alla pelle, sembrano bagnati, madidi di sudore per lo sforzo della penitenza, viene voglia di accarezzarli, di sentirne la consistenza e allo stesso tempo la leggerezza, la morbidezza. Perfetti nel loro essere eterei.





Maddalena Penitente - Antonio Canova
Ph. Antonella Ciliberti









Maddalena Penitente - Antonio Canova
Ph. Antonella Ciliberti




La mostra Canova e l’antico, curata da Giuseppe Pavanello e organizzata da Villaggio Globale International, si è conclusa domenica 30 giugno, registrando la presenza di 300 mila visitatori.


Antonella Ciliberti


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