Storie dal Decamerone. Il Potere






Palco spoglio, due sgabelli, uno strumento, alcune note, due persone, una voce, quella di Claudio Santamaria che si trasforma in un re. Un re inteso come uomo potente, che decide la sorte altrui, che con un segno di penna su una parola, può cancellare una vita. Il potere di decidere della vita degli altri, lasciando scorrere la propria dietro apparenze e finti sorrisi. Il potere di essere rispettato, ma mai veramente amato. Il potere di esserci ma non quello di sentirsi.
È un re, è un uomo di potere immaginario, quello che racconta Santamaria, eppure così vicino a qualcosa che viviamo tutti i giorni. La sensazione di dipendere da decisioni altrui prese senza tanti riguardi e senza alcuna empatia è viva e presente.
Eppure qualcosa si incrina in questo uomo tutto d'un pezzo che ci parla, qualcosa lo sveglia, uno sguardo di ragazza pulito gli scrolla le spalle...
Apre gli occhi su quello che miseramente è diventato, sull'impero fatto di niente su cui sta seduto. Scappa, ha bisogno di mettere spazio e chilometri tra la persona che ha visto rispecchiato in quegli occhi di donna e in quel suo dolore, si ritrova in un posto in cui sono scappati in molti e in cui il raccontarsi storie, allevia la consapevolezza di aver sbagliato. E come in un moderno Decamerone le storie curano, ti leggono dentro, ti illuminano, ti mostrano la strada. Allora il potente torna al suo mondo, adesso sa cosa deve fare, cosa vuole fare per riscattare se stesso e la sua vita passata a decidere di quella altrui.
Ma non può, perché anche questa decisione comporta un atto di potere, perché anche questa scelta comporta il dover manovrare le vite degli altri. La peste. Il potere è la peste, la malattia che ti mangia vivo, che ti uccide. O forse la peste, la malattia, è la consapevolezza di non poter cambiare il proprio destino di re. Un re che affronta la vita con la faccia come quella "di un cane che affronta la tempesta, senza aver mai conosciuto tempeste".
Claudio Santamaria parla con la voce e con le braccia, con le mani. Il suo re è prima irrigidito e fiero, poi si infervora e poi sembra rilassarsi, per poi accartocciarsi su se stesso. E non ce ne accorgiamo solo dalla modulazione della voce, ma da come si muove sullo sgabello e da come, letteralmente, si arrotola le maniche della camicia, da come si porta le mani al collo quando al re manca l'aria per quanto i suoi sensi di colpa lo attanagliano. Nonostante la presenza ingombrante del leggio sono comunque la prossemica e il movimento ( e il violoncello di Francesco Mariozzi ovviamente) a dare man forte al testo di Michele Santeramo davvero bello ed evocativo ed anche le assi del palcoscenico del Teatro Sannazaro, graffiate, usate e consumate dal tempo, sembrano partecipare del dolore e della fatica di vivere di questo re nudo.


Storie dal Decamerone. Il potere.
Di Michele Santeramo con Claudio Santamaria.
Musiche originali e violoncello Francesco Mariozzi
Produzione Fondazione Teatro della Toscana - FestivalEdera


Antonella Ciliberti



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